Gabriele Pulli
Infinità e vaghezza
Liguori editore, Napoli, 2023
In premessa, l’autore afferma che l’esperienza psichica umana si può anche comprendere entro la “polarità” tra mondo e tensione all’oltre mondo, tra cose nel mondo e “qualcosa che nel mondo non c’è”; invece il libro termina con le parole “l’indefinito evoca l’infinito e l’infinito evoca l’indefinito (…) in quanto ciascuno ha valore in se stesso” (67). La “vaghezza”, l’esser vago di qualcosa o in generale, che era nel titolo, si è trasformata nell’indefinito della conclusione, mentre l’altro polo della tensione resta l’infinito. Ma come questi concetti s’intendono e vengono a modificarsi nel ragionamento?
Viene ridefinita per cominciare la polarità mondo-oltremondo come relazione tra definito e indefinito, rivisitando la descrizione freudiana del processo di costituzione del desiderio: il desiderio non è in vigore all’inizio della vita ma successivamente, dunque oltre una condizione desiderante si può supporre una condizione pre-desiderante, e che questa seconda continui a “sussistere” sotto quella, anche dopo che la prima soddisfazione di un “bisogno” abbia dato luogo al “desiderio”. Il desiderio deve intendersi come “qualcosa che ha un oggetto verso cui tendere e insieme (per via del sopravvivere, insieme al desiderio costituito, d’una condizione precedente al desiderio, n. d. r.) ne è privo” (7). Pertanto il desiderio è tensione all’oggetto, al definito, ma, insieme, all’indefinita “dimensione priva di oggetto che gli è sottesa” (ivi). Freud menziona bisogno e desiderio ma non si sofferma sulla loro differenza, che viene così argomentata dall’autore: mentre il bisogno si appaga dell’oggetto – p. e. la sete si soddisfa per mezzo del bere – il desiderio si suppone contenga in sé, accanto all’oggetto presente, anche “un oggetto perduto, e che lo faccia appunto per contestarne la perdita” (11) – ponendo la domanda “com’è possibile che qualcosa sia finito nel nulla?”.
Si apre in tal modo, a ciascuno, il teatro dell’esperienza universale e propria – quella dell’esistenza, come delle grandi opere letterarie e poetiche. “Negli strati profondi della psiche umana manca l’idea dell’annullamento” (12) e la perdita, il passare in nulla di qualcosa, è un fatto a cui ci si ribella. Ma, insieme alla perdita, nel desiderio coesiste il desiderare di desiderare e la protensione all’assolutamente nuovo che solo nel futuro può davvero darsi. Il desiderio appare come bifronte, com-porta l’“unico movimento, verso il passato e verso il futuro, verso il già vissuto e verso il non ancora vissuto” (13), due tendenze non solo opposte ma “racchiuse l’una nell’altra” (14). L’autore porta gli esempi forti e opposti del lutto e dell’innamoramento per illustrare l’unicità dell’oggetto perduto e/o acquisito.
In base a quanto finora s’è detto, il fatto che l’oggetto del desiderio possa subentrare come unico e “con tutta l’emozione dell’inaspettato” è possibile solo presupponendo la nozione di indeterminato, propria di “una psiche che è in una condizione pre-desiderante” (15): “l’oggetto del desiderio si costituisce al confine fra la condizione pre-desiderante e l’instaurarsi del desiderio stesso” (ivi). Zona sospesa – l’oggetto del desiderio si libra “su tale confine” tra oggetto determinato del desiderare e l’indeterminato del pre-desiderante; l’essere indeterminato vale anche per il futuro, perché se non si può pre-vedere il futuro (se non in quanto pro-getto: il futuro cioè viene inteso da Pulli non in quanto contiene lo scopo preciso, ma come slancio, come protensione vitale) si può desiderare che esso ripeta la condizione dell’assolutamemte nuovo, della prossimità “all’origine stessa del desiderio”, a una condizione pre-desiderante (16).
Ma come si può intendere l’indeterminato in quanto indefinito? È l’oggetto della seconda parte, l’indefinito e il nulla, dove, considerato che l’indefinito (essere) nella storia del pensiero “appare uguale al nulla” (20), pur nella diversità delle accezioni, si discute un luogo platonico sull’amore, per mostrare come, oltre ad essere amore di qualcosa, l’amore possa insieme essere amore di nulla. Ecco: ciò che si ama, si ama non possedendolo, se è vero che “Si desidera qualcosa che manca… finché manca” (24). Ebbene, “i due procedimenti sono strettamente connessi” (25), si ama quel che si possiede eppure non possedendolo, e connessi restano, e anche il secondo è necessario per Platone, per quanto problematico appaia.
Se il quid determinato che manca, una volta conseguito, non lo si desidera più, allora “vuol dire che si tratta di qualcosa immaginario” destinato “a non trasformarsi mai in reale”. In tal caso “La domanda sul rapporto fra il desiderio e il nulla diviene (…) la domanda sul rapporto fra l’immaginario e il nulla”, quel nulla che è dato sempre “in” o “con” qualcosa e mai da solo. Se l'immaginario è costituito di nulla, nulla è materia “di cui è fatto l’immaginario” (28) e materia delle immagini, ma in questo caso non si tratterà dell’indefinito “che sfugge sino a svanire nel nulla ma – semplicemente – (sarà, n.d.r.) il nulla” (ivi).
Nella terza parte, l’indefinito e l’origine dell’immaginario, si riflette “sull’esistenza stessa del linguaggio verbale” (33): non solo sul linguaggio, ovvero sulla semantica, ma sulla sua componente verbale, sul suono (34 sgg) e sulla voce, suono della voce e capacità di “tradurre un suono in un’immagine” (37). Questo momento di pensiero sembra comportare forti implicazioni anche nel campo della poesia.
L’autore si domanda “cosa evoca il suono della voce (…) nella sua pura sonorità?” (ivi) e argomenta evocando una condizione della prima infanzia, che è quella del “sentire (che) precede il vedere” (35): il punto è che in tale situazione si può ipotizzare prevalga “immaginare l’aspetto del mondo avendone sentito il suono” (ivi) o meglio, non che si possa ante-vedere, non certo “cosa possa essere un volto o un qualsiasi aspetto” bensì “la visibilità stessa” come “qualcosa di (… ) indefinito” con la “estrema intensità dell’affacciarsi alla vita” (ivi) “nel corpo della madre”.
Qui, in ipotesi, potrebbe risiedere la ragione ultima della differenza incolmabile tra immaginario e reale e la verità dell’immaginario abiterebbe nella “memoria della sua origine al di sotto della sua superficie” (36). Il soggetto nella vita cercherà sempre “quell’oggetto (…) della sua prima immaginazione” (40) e lo troverà in un certo modo in “qualcosa che c’è nel mondo” (41) come investito di requisiti d’“irripetibilità” e“unicità” tali da avvicinarlo “al non esserci affatto” (41); in altro modo, può trovarlo in “qualsiasi cosa determinata” che tuttavia, avvolta da quello speciale carisma che è “nell’aria” intorno alla cosa o persona, risulti “compiutamente desiderabile” (ivi).
L’oggetto d’amore appare insieme “come qualcosa d’infinito e insieme d’indefinito” (48).
La relazione tra indefinito e infinito è il titolo della parte conclusiva, dove subentrano le figure di pensiero e di poesia di Giacomo Leopardi nei Canti e nello Zibaldone.
Il lettore potrà addentrarsi nella puntualità del ragionamento. Qui scelgo di dire solo che torna in buon circolo quella che, in ipotesi, era data come la radice più remota dell’immaginazione, forse il seno materno. V’è “filo diretto fra il suono e l’immaginazione dell’indefinito: il riferirsi dell’immaginazione all’indefinito appare come una sua positiva proprietà (…) come un pregio” (61).
L’indefinito dunque non solo è situazione psichica vitale ma è scisso dall’infinito; se ne deve dedurre che allora l’infinito, come l’oggetto considerato dal punto di vista dell’infinito, risulti svilito? Certamente no, come s’era anticipato. Al lettore il compito di scoprire quest’ultimo colpo di scena del pensiero, argomentato sempre a partire da alcuni passi dei Canti.