17 Novembre

Breve contributo per la poesia di Antonietta Gnerre e Rita Pacilio

Vallo della Lucania, 16 novembre 2016
Per la giornata della poesia al Liceo “Parmenide”

Antonietta Gnerre: una poetica del tempo e della memoria? I ricordi dovuti (2015)

La poesia di Antonietta Gnerre sembra proporre una poetica della memoria e della devozione (pietas).
E’ la memoria di ciò che si è vissuto a fare di noi ciò che siamo, e la memoria si esprime attraverso i ricordi:

I ricordi ci guardano, ( … )
Ci aspettano nel fuoco
delle emozioni con lentezza

ma i ricordi non sono tutto, perché, sebbene essi agiscano.
Dalla personalità di Antonietta, per chi le parla, emerge una evidente, controllata forza: tra l’altro, il colore verde simboleggia la perseveranza e la conoscenza superiore, ed emana un senso di equilibrio, riconoscenza per ciò che si è avuto … compassione e armonia (L. Argentino).

D’altra parte, i ricordi sono “dovuti”: dovuti innanzitutto a noi stessi, perché sono la testimonianza del nostro vissuto. e fondano la nostra identità.   La personalità poetica di Antonietta Gnerre si esprime, come ha ben evidenziato Davide Rondoni nella prefazione, nelle molteplici manifestazioni del creato, la natura, gli alberi ma anche nei colori: ce ne sono tanti nelle sue poesie, alcuni più ricorrenti, come il verde – di tutti i colori amo il verde – , simbolo di rinascita, e quello vivo e possente delle chiome nel pieno dello splendore estivo.

Di tutti i colori amo il verde, ( … )
Dal verde tutto emerge e tutto muta
nel miracolo di un nuovo germoglio.

Eppure “il presente è più grande. a volte” dei ricordi: noi abitiamo il presente -

il colore di questo istante
mi copre dal freddo di febbraio
che gocciola sui rami, dai gesti
da una virgola.

In questo abitare l’istante 
non scelgo ( … ) 

E, soprattutto, occorre vigilanza rispetto ai ricordi: "Sono di sentinella tra i ricordi che danzano".

Occorre vegliare per fare in modo che non ci intossichino l’anima con il loro sguardo che a volte può ammaliare, perché il tempo andato ci procura nostalgia, rimpianto, rimorso, può essere avvertito come migliore del presente, spingendo a vivere con lo sguardo rivolto indietro. (L. Argentino)

Si tratta del discorso di Nietzsche contro l’utilità e il danno della storia per la vita: è dovuto coltivare la storia ma occorre anche vegliare perché non ne veniamo saturati, e non ci danneggi. Tale aspetto viene rafforzato se si legge:

Tutte le notti appoggio la testa
Sul cuscino per separarmi
Dai nomi di cui sono fatta.

qui l’autrice afferma  senza dubbio il senso del passato. Ma è anche scritto che occorre “separazione” e dunque distanza “dai nomi di cui sono fatta”.

Discorso che porterebbe lontano, ad esiti anche controcorrente rispetto a importanti tendenze attuali.

 

Rita Pacilio: poesia e scrittura come impegno contro tutte le forme di violenza

Si manifesta invece, nella scrittura di Rita Pacilio, una modalità diversa della forza: forza della protesta, rabbia, per cui le cose sono tutt’altro che composte, e non le si può accettare senza fare qualcosa, sia pure esprimersi in una parola poetica  anche in “grido raggrumato”.

Ma provo a leggere in continuità le fasi principali della sua via di scrittura, come se si trattasse (ma è) un solo sentiero:

1) PROSA: "Non camminare scalzo" (Edilet 2011) è "l’incontro con la sofferenza propria e dell’altro. Lo sguardo è centralizzato sullo spazio interno del proprio vissuto e la dimensione parola poetica permette ( … ) ( di ) portare a nuove vie di unione concrete e sociali. L’altro diventa l’allarme di una comunicazione difficile con se stessi o che non avviene più … ". (dall’introduzione dell’autrice)

2) POESIA: "Gli imperfetti sono gente bizzarra" . Ed. La vita felice, Milano 2012; trad. francese L’Harmattan, 2016 "Un dolente e splendente diario, personalissimo, dove la forza dei versi fila, tesse e spacca la mormorazione in cui pure restano raccolti, pronunciati da quel luogo inespugnabile che è lo spazio dell’essere sorella.

La prigione di mio fratello
ha le finestre sorde" [...]  

La sorella, lei sola conosce. [...] Tutto il viaggio all’inferno, questa dura traversata, dove i versi sono d’una bellezza sfiancate e maestosa, hanno un centro di diamante, castissimo e brillante: «Ho parlato al tuo corpo fraterno». [...]. (D. Rondoni)

Insomma: in questo momento della vita si attraversa una specie di inferno, e, se ci si trova ad attraversare l’inferno, occorre andare avanti. 

3) POESIA: "Quel grido raggrumato", silloge poetica edita nella collana Le voci italiane da “La Vita Felice” (2014): “Basta girare la prima pagina per essere colpiti a sangue freddo, in un gesto incruento materialmente, ma capace di ferire nell’intimo. La poesia che Rita Pacilio ha voluto raccogliere in queste pagine fa male, scuote, sbatte violentemente contro il tranquillo procedere dei giorni, del quotidiano, mettendo a nudo situazioni che sono sotto gli occhi di tutti, ma che in pochi si fermano a sentire. ( … ) è già nel sangue-poesia stesso la presenza di quei fattori che determineranno la fisiologica coagulazione, quel raggrumarsi dell’insieme ematico emerso dal silenzio e che ha solo bisogno di consapevolezza – propria e di tutti – perché il tessuto umano e sociale possa essere riparato. Ma raggrumata, ovvero finalmente fuori e quindi si spera in via di cicatrizzazione, di ripresa, è anche la Persona stessa, la voce di chi subisce, di chi è vittima di quanto denunciato nella silloge in poesia". (Angela Greco)

4) POESIA: "Prima di andare" - La Vita Felice, Milano 2016.
Cinque lettere d'amore e trentanove poesie, in quattro sezioni.
Si tratta di un "lavoro in versi di alto ed elegante livello stilistico e linguistico. Rita Pacilio confessa la vita di una donna anziana che, grazie al ricordo del suo amore, tiene in vita la memoria del mondo. Diverse le tematiche sottese tra scienza e coscienza: la solitudine e la frustrazione dell’ammalato, l’indifferenza sociale, la dimenticanza correlata ad alcune patologie cliniche che mettono a dura prova quella parte del cervello che custodisce la memoria a breve e a lungo termine e, inoltre, l’amore, in tutte le sue forme, amore come vera e unica motivazione di vita. Il testamento simbolico e spirituale è per l’umanità intera" (Dalla quarta di copertina):

I nervi entrano ed escono dalla guerra 
invocano la grazia solenne del ritorno. 
Non ignorerò l’ardore di chi siamo stati 

I versi, a differenza che nella poesia di Antonietta Gnerre, non possono riuscire in forza pacificata e tesa, ma risultano a tratti oscurare l’intendere di chi legge, con i consueti e già rilevati effetti di spiazzamento: "una parte/ di scontentezza ha fatto comunella/ con le gobbe delle strade e la felicità non capisce niente delle dee incollate/alla sottana boscosa" (13) e così via.
Modi popolari che introducono l’ennesimo sconcerto semantico – solo apparentemente una eco surrealista, in realtà macerazioni in parola di vissuti esistenziali assai duri e problematici, una vera e propria manifestazione della difficoltà a dire, quasi disperazione.
Ciò non toglie che a volte la musica prevalga: e della simbiosi poetia/musica Rita Pacilio è convinta, continua assertrice (i suoi reading sono in poesia e accompagnamenti studiati in brani jazz; ha pubblicato un libro come "Il suono per obbedienza" (2015), dove sono presenti brani poetici composti in riferimento esplicito a brani musicali) – così il senso panico prevale nel "corrispondi all’aria estiva/ai campi arati/ … fino all’ultimo vallo/ dove lunazioni e preghiere/fanno fatica a stare." (18) Il sopravvissuto, colui che esperisce, rimedita in versi e nelle cinque lettere, in chiarezza crescente, quasi un viaggio verso i confini della notte, e fino all’evidenza, il grande tema-binomio dell’amore e della morte

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