12 Novembre

La poesia, per così dire

Entro i limiti di tempo a disposizione, vorrei citare alcuni versi di Dino Campana, a mio avviso splendidi, dalla poesia “tre giovani fiorentine camminano”: Sono: “Ondulava sul passo verginale/Ondulava la chioma musicale/Nello splendore del tiepido sole/Eran tre vergini e una grazia sola”. Campana, per la precisione; ma invece di tutti i riferimenti che un tecnico della poesia potrebbe ricavare da questo brano io vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che qui si presenta in modo esemplare un’analogia o proporzione (poetica) in cui, similmente alla proporzione matematica (p. e. 1:2=x:8), viene enunciato un rapporto tra termini (in matematica vengono posti in rapporto termini noti per trovarne uno o più ignoti. Solo che i termini in Campana sono presenti o intuitivamente noti: il primo, il passo verginale/la chioma musicale, il secondo è: le tre giovani donne, il terzo sarebbe da trovare, il quarto è la grazia – dunque, il terzo sarà la “bellezza in movimento” in quanto definizione possibile della grazia: si dirà che la proporzione/analogia dettata dal poeta è “: il passo verginale/la chioma musicale, sta al secondo, le tre giovani donne, come il terzo, diciamo la bellezza in movimento, sta al quarto cioè la grazia”. Oppure in qualunque ordine volete … non siamo nel campo dell’esatto!) Non propongo il tema dell’analogia poetica al fine di formulare un discorso tecnico-critico sulla poesia ma per considerazioni di carattere più generale ovvero filosofico. 1) Dunque, l’argomento di questa sera è “simboli immagini suoni”. Invece riformulo a partire dall’analogia. Posto che simbolo è anche immagine, e che anche suono è immagine, acustica, di cosa è nutrita l’analogia in poesia? di tre elementi. Il primo, l’immagine appunto; essa costituisce lo strumento del vivere poetico per così dire; ma l’immagine si presenta sempre dotata del colore, che è offerto dagli altri due elementi che vi si accompagnano, cioè il significato, e insieme l’emozione (che coincide col significato stesso). Ovvero i cosidetti qualia che sono tuttora un mistero per le neuroscienze come per la filosofia: perché/come alle immagini sempre si associa un colore? 2) Ora, per tornare all’argomento della serata, quelli elencati – immagine significato emozione – sono soltanto strumenti del vivere in poesia? La poesia è fatta di analogie dunque di immagini, emozioni, significati. Ma non solo la poesia. Difatti – “cosa succederebbe se potessi viaggiare a cavallo di un raggio di luce?” è, detta a mio modo, non solo una immagine poetica, ma anche la domanda di un genio della fisica, in cui il “come se” analogico (in un’analogia, in partenza, a due termini: viaggiare in velocità per mezzi quotidiani come viaggiare sulla luce), formulata da A. Einstein quando egli, in contesto di scoperta della teoria, da adolescente, preparava immaginando la teoria della relatività ristretta (lunga intervista allo psicologo Max Wertheimer, poi citata da questi per intero nella famosa opera Il pensiero produttivo). Poiché ogni vivere d’uomo è tessuto di questi elementi e non solo la poesia nel senso tecnico, la mia tesi è che l’analogia diventa, insieme forse alla logica, lo strumento irrinunciabile del vivere umano. Dunque, strumento del vivere in generale. La conseguenza, dunque, è che gli strumenti del vivere in poesia, come le immagini dotate di significato e quindi di colore o emozione, sono strumenti del vivere in generale. L’analogia è ovunque come le immagini. 3) Ma da dove si originano i materiali dell’analogia, e quindi a volte l’analogia stessa? L’analogia a volte è formulata consapevolmente, ma a volte, in poesia, ci sorprende. E non solo in poesia. Chiunque abbia a che fare con l’attività creativa lo sa. Anche un matematico che, avendo pensato per lungo tempo a un problema, improvvisamente ne vede la soluzione. Questa allora si faceva strada per sentieri impervi e nascosti della mente, per poi venire all’aperto. Origine è il cosiddetto inconscio, sia detto solo per cercare di intenderci, perché tanto, indagando al confine tra filosofia, psicologie e neuroscienze, dell’inconscio sappiamo ben poco; per intendere cioè qualcosa che non abbiamo alla portata della mente consapevole. Dalla poesia per così dire all’inconscio per così dire: è questo il luogo dove la vita è sogno, può o meno esteso nella vita quotidiana, che presiede al contesto della scoperta ma anche a quello della vita della ripetizione e da svegli. La distinzione tra veglia e sogno, cara agli antichi filosofi, va sfumando. Equivoca chi pensa a una netta distinzione tra veglia e sogno, come chi pensa a una pari dignità tra pensiero consapevole e pensiero inconscio. Per fare giustizia di alcuni luoghi comuni – di Campana diremmo che “era un poeta” ma di Einstein lo diremmo? Campana viveva di poesia, lo sappiamo, e d’altro; diremmo di qualche genio della fisica o della matematica che “vive di poesia”? E cosa intendiamo quando, per ironizzare su certe idee non dimostrate, o suggestive ma vaghe, le liquidiamo con “ma questo è poesia”? Eppure, una più giusta visione delle cose vuole che si dica che poeti, cioè titolari di attività creativa, siamo tutti, sia pure a diverso titolo. E poetiche sono tutte le attività umane. Quale differenza tra la praxis e la poiesis? Propongo, a prescinde da qualunque attendibilità di tipo filologico: solo la considerazione del fare umano rispetto all’effetto invece che rispetto alla genesi e alla qualità creativa.

Letto 1542 volte Ultima modifica il Domenica, 04 Giugno 2017 16:27