Guarracino, Le stagioni di Leucò Guarracino, Le stagioni di Leucò
29 Aprile

Vincenzo Guarracino: fare poesia oggi, e, insieme, muoversi nella tradizione poetica

Vincenzo Guarracino

Fiori e altri incanti-Le stagioni di Leucò

Di Felice Edizioni, Teramo 2023

(Nota di lettura)

Chi dice che, nella poesia italiana, ci troviamo in momento post-lirico, potrebbe venir puntualmente smentito da Vincenzo Guarracino, autore di questo nuovo libro Fiori e altri incanti. Le stagioni di Leucò: 49 brevi componimenti, un piccolo, prezioso regalo. Nel titolo, Incanti, v’è una promessa che, per quanto la poesia lo possa, viene mantenuta, purché non si creda che l’incanto della leggerezza – di questo si tratta – sia cosa facile: difatti “la parola è preziosa…/non giova che tu sia pavido o pugnace/se a niente il tuo dire si assomiglia” (p. 7). La parola deve voler dire qualcosa e anche per questo necessita di cura e lavoro, affinché l’apparire della bellezza non copra una inutile specie del vuoto – e la leggerezza va insieme con l'inquietudine, “A volte la scrittura è senza pace” (p. 35). In questo caso, “il verso s’è fatto rabdomante”, la ricerca ha trovato, perché tu non sapevi, ma “l’acqua è proprio lì dove cercavi” (p. 9); “Le parole dei versi sono fili/cuciono e ricuciono ferite” (p. 25) proprio come fa la figura femminile nella tradizione lirica e cortese, quella figura che spesso soccorre. Il luogo della leggerezza e dell’incanto consiste in un sentiero esile, che si libra su equilibri virtuosi, né i versi cedono immediatamente il loro significato; è carattere della vera poesia, questo, che su ogni pagina sia necessario oltre l’immediatezza possibile almeno un momento di riflessione, e che ciò a sua volta possa rivelarsi solo un punto di partenza.

Il verso, lungo e non, sempre lavorato in metro e ritmo, è governato con la estrema perizia dell’autore, che è anche traduttore dai classici greci e latini; verso dunque colto e misurato, ma in felice unione con il vento dell’ispirazione che porta al poeta la parola: è questo un caso (non molti ne conosco!) in cui la fantasia o l’immaginazione non si lasciano imbrigliare dalle necessità della forma, sia pur dettate dal riferimento ai grandi autori antichi, esigenze che potrebbero diventare esteriori al significato; e invece con quello ben si accompagnano.

Di una prova di maestrìa si tratta, e insieme di un libro di raffinata poesia lirica.

La divinità eletta per offrire l’impronta alla silloge è Leucò, più volte menzionata: secondo mitologia greca, Leucotea, la divinità marina dell’Odissea che soccorre Ulisse nella tempesta, aiutandolo a raggiungere la terra dei Feaci. Il nome significa “dea bianca”. Un precedente – in prosa, ma sempre godibile e insolitamente lievissimo, in singolare diversità – sta nei celebri Dialoghi con Leucò (non in versi, quindi) di Cesare Pavese, un altro maestro, a sua volta gran conoscitore dei classici, sebbene anche autore neorealista. Pur sempre di presenza di sogno, nutrita d’immaginario, si tratta nella nostra vita: materia dei sogni, Guarracino ricorda con Calderón, è la vita stessa. Perciò, leggiamo, “Nel sogno ora sta dentro i suoi pensieri/…oggi intende in quel sogno forse il destino” (p. 12) perché non si può negare, se non per partito preso, che dai sogni “trae forse la più ambita/risorsa d’infinito che è il domani” (p. 13) e i “sognatori” sono spesso aperti al nuovo: “Ci sono porte e finestre nella casa/ degli imprevisti cuori pronti/ad accogliere e donare, mai/capaci di chiudersi alla vita” (p. 22). La poesia forse non ferma le guerre, ma ha un ruolo nell’accadere della singola vita: “Fa scendere dal cielo anche la luna/… addita al sensi la soglia del possibile” (p. 27) e il sorriso di “Lei” (la donna, anche in questo caso) deve soccorrere e “basta/… all’alto volo” (p. 28).

Ma ciò che chiamiamo “concreto” si fonde e confonde con la costante presenza del niente e del mistero: “Basta ad ogni cielo anche una nuvola/ per dire quanto un sogno è fatto d’aria” (cfr. pp. 20, 36)

                         Veleggiavano nuvole e misteri

                           in sogno alla stazione sul sentiero

                           Felice si offriva era la scala

                           spiraglio ad un sogno che si avvera (p. 21).

Il sogno viene menzionato ripetutamente (cfr. pp. 18, 20, 21, 23… ); si scandagliano, in questa chiave, frammenti di un discorso d’amore quali p. e. “Si dice «da morire» ma è per vivere/il soffio che qualcuno chiama amore” (p. 15, cfr. anche cfr. p. 32), ovvero “«Quanto?» «Tanto». Questo/sentire a dirlo è l’infinito… ” (… ); è citata, ed è forte la presenza del Carme 7 di di Catullo, nel “Quam Lybissae… come stelle” (p. 17).

La donna è più volte menzionata fin quasi a precisarne l'identità, a partire dall’ epigrafe: “A Te che di grazia e vigore fai fiorire/In un dono senza età le tue prime/sessanta primavere” (p. 5); “Aveva un nome di poesia/lieve…” (p. 11); “rosa” è nome presente con insistenza … ma così “margherita”, e anche altri, quasi a voler stornare l’attenzione nel momento in cui la si sta guidando, con espediente di dantesca memoria.

Un altro precedente importante può vedersi nella XI ode (libro I) di Quinto Orazio Flacco, dove tuttavia il nome dell’amata, che in quel caso, a distanza di migliaia di anni, sembra fosse nota e certa, fu Leuconoe. Differenza di significato: dalla “dea bianca” di Guarracino alla donna “bianca-mente” oraziana. Ma la relazione si può vedere in questo, che, come i versi antichi vivono per via dell’invito ad assaporare, letteralmente, “il giorno” (quel “diem” che viene tradotto di solito con “l’attimo”), così i versi di Guarracino, modulando il tema della precarietà dell’esistenza, come diciamo oggi, esortano a cogliere in pieno la bellezza di ciò che è effimero, e di ogni giorno, mese, stagione l’unicità che non si ripete:

               Solo l’attimo conta e non illudersi

               è bene su ciò che dà o promette

               Spazio mi dice non c’è al domani

               sole e nuvole basta un soffio a dissolverli (p. 24).

Come nell’antichità, così oggi la saggezza un po’ disincantata ci guida. Per questo “le stagioni” vengono a far parte del sottotitolo, perché ogni stagione ha la sua diversa bellezza, che il ruotante circolo dell’anno diffonde in modo significativo nel tutto: “farsi di fiori a primavera” (pp. 41; e 43) dove i campi attendono di aprirsi “come frase in attesa di un verso” (p. 41) o già si colorano (cfr. pp. 43, 44); “giugno/odora già d’estate…” (p. 16), “Agosto di stanchezze di attese/il tempo ci prepara ad una svolta” (p. 52) per autunno-inverno e, in circolo, l’anno in realtà sfuma in sogno, “…in festa era ogni via/l’anno col suo segreto/… il sogno era in agguato/o forse era illusione” (p. 8); con bellissimi esiti, ed eco leopardiane –

             Come è chiara la luna questa sera

             come cerca ogni stella la sua insonne

             compagna e sorella all’orizzonte: l’anno

             com’è tutto in questo sogno com’è lieve” (p. 23).

Dettagli di vita quotidiana, basati sul “sentimento dell’esistere” (p. 47), portati alla dignità della poesia. Un gioco di nulla e di qualcosa, di “piuma” e di “luna” (p. 45), di sogno e realtà, tra il “sole e la sua nuvola” (p. 34) che chiama in causa un ripensamento singolare, unico, della nostra tradizione letteraria nel segno della bellezza che si mostra, col suo sospeso miracolo, sulla caducità –

               Furono d’estate come un vento

               ore attimi pensieri/… sì /

               eterni fino a quando, forse (p. 53).

Letto 363 volte Ultima modifica il Lunedì, 29 Aprile 2024 09:23