Gradica Publications, Mount Sinai, NY, 2025 Gradica Publications, Mount Sinai, NY, 2025
30 Giugno

"Taming Time" di Monica Martinelli: un dire possibile per l'impossibile cómpito.

Monica Martinelli

Taming Time

Gradiva Publications, Mount Sinai, NY (USA), 2025.

Se si guarda la molteplicità dei sensi che può avere l’espressione inglese Taming Time (peraltro il titolo del libro suona solo in lingua inglese, anche in italiano, pur trattandosi di edizione bilingue), si resta un po’ sconcertati, ma in fondo non lo si sospettava? Era fin troppo ovvio che trattenere il tempo era soltanto fermarsi a uno dei significati del taming time: altrimenti potrebb’essere dominare (impossibile, ma forse se ne ha la sensazione, in qualche frazione…), per domare (improprio), magari controllare (ma in che senso, come), educare (davvero una metafora). Una cosa mi sembra certa, ed è che nel titolo si racchiude il senso del libro, o almeno della sua maggiore e più recente parte. Il senso generale consiste nel titolo, che ha a che fare con il (molto!) avvertito problema del tempo, dal punto di vista d’una sensibilità non comune. Poiché conosco Monica da molto tempo – appunto – credo si tratti di persona di grande maturità e senso dell’equilibrio, in poesia e vita. Dunque lo svolgimento del tema impossibile viene reso in libro nel modo che lei sa fare, è un po’ la sua immagine.

L’atteggiamento che accompagna i versi è del tutto condivisibile fin dall’apertura: “Appena apri gli oggi sei un batuffolo/che tutti vogliono ninnare./ Appena cresciuto non ti accorgi/che il tempo cresce insieme a te e ha pazienza,/…Controllalo, trattienilo, ammansiscilo./Lui sta con te e non contro di te…” Si tratta, insieme, di una dichiarazione di senso e di una enunciazione di poetica. Il tempo è il tema del libro, e, come scrive anche Perilli in prefazione, non è pretesa da poco. La storia del nostro pensiero, intendo quello occidentale, ha visto le più varie ipotesi speculative sul tempo e sulla sua essenza, affiancarsi, dialogare, succedersi, fino a oggi. Qui ci troviamo di fronte a una poetica non eccentrica ma del tutto legittima: il tempo non è nostro nemico ma collaboratore, dal momento che, aggiungerei, finché siamo nel tempo, abbiamo tempo, e il tempo ci favorisce.

La chiusura “trattienilo più che puoi, il tempo, appena,/appena puoi” mi suona alquanto simile all’oraziano carpe diem se si precisa che l’espressione in una mente diversa suona con intenzione diversa. Talora i versi sono chiusi da una data con una località, perché è anche questo un modo di fermare quel tempo significativo. Lo sguardo portato al tempo non va esente da un soffio malincomico: “anche l’eclisse mentre oscura passa veloce/come tutte le cose di questo mondo”.

Nemmeno il linguaggio ha pretese rivoluzionarie, mostrando che un uso consueto può risultare carico di senso: se la poesia è sempre innovativa, vuol dire che ogni poesia che ci colpisca può risultare tale: “Amo (…) qualcosa di mezzo tra la gioia e la morte/che è la vita”. Il tempo è qualcosa di inafferrabile, per ognuno di noi singolare per come significa e viene vissuto, cosìcché solo le tre di notte (o si dovrebbe dire del mattino) potrebbe risultare ora propizia a prepararsi al sonno.

La formazione matematica e (questa in parte solo, ovvero a causa dell’essere persona colta e informata) scientifica dell’autrice suggerisce che siamo un campo dato da certe condizioni di densità e movimenrti della materia – “siamo fatti di cellule”, “siamo fatti d’acqua”. Tale consapevolezza trova accordo con la formazione che molti di noi hanno avuto, per cui le lodi del signore e un incedere da Libri sacri trovano un attimo di felicità nel “ (siamo) materia di sogni e di fine” e “benedetta sia la chiavetta” ovvero il pen drive o supporto USB, se il mezzo tecnologico consente di serbare “tutta la vita, la virtuale insieme alla vera”; ciò che invece non può conservare l’ausilio elettronico è “imparare a staccarsi dal mondo/stare in piedi nel moto perpetuo del transito”.

C’è un punto, tuttavia, a partire da cui pare che i propositi, le buone intenzioni di partenza e di titolo vengano meno, quando in conclusione della l parte leggiamo che “il tempo si esaurisce/e si trasforma in lotta contro se stesso”. Allora subentra la ribellione “per ciò che non può tornare/e non si può avere di nuovo”. Così la seconda parte, che s’intitola madre. È un lato del desiderio, questo: la ribellione perché ciò che fu prezioso non può esservi più, ci è sottratto. S’incontrano qui circa una trentina di pagine in cui la memoria rivisita il buon tempo, si tributa un estremo omaggio alla figura materna, al suo sorriso, tra il dolore e la presa d’atto che le sue braccia sono ormai, sono sempre state in essenza “fragili di vento”. Un via libera al composto dolore, alla rievocazione, l’arrendersi alla memoria che sbiadisce di fronte al silenzio senza fingere composizioni che non ci sono, o sono fin dove si può. I versi parlano del dis-oriente, testimoniano lo smarrimento. L’altra componente del desiderio, per cui ciò che è stato una volta, così inatteso e pieno, potrebbe essere di nuovo, perciò nuovo come una volta fu inatteso, non può, in questo caso, che cedere al vuoto e alla mancanza.

Il compito enunciato nel titolo può apparire adesso in una modalità persino un po' ironica. Trattenere il tempo, i suoi luoghi privilegiati e irripetibili, era dato soltanto nella forma dolorosamente insufficiente che ci viene offerta dal linguaggio, e Monica Martinelli ha voluto percorrere questa strada perché a lei poeta si apriva il mare e poteva attraversarlo, pervenendo ad altra sponda ma senza dover mai vedere la terra promessa... quella che che la nostra componente desiderante non smette di promettere.

Letto 215 volte Ultima modifica il Lunedì, 30 Giugno 2025 08:58