Luna eclissi pèarziale - Foto Sofia Di Legge Luna eclissi pèarziale - Foto Sofia Di Legge
23 Agosto

Scrivere versi

Scrivere versi. Una discussione di teoria della poesia.

Vedo fermento di discussioni e prese di posizione da social per quanto riguarda lo scrivere versi. Sono sinceramente colpito dal fatto che tanta gente si occupi della cosiddetta poesia e di scrittura letteraria, trovo tutto e il contrario di tutto ma nel caso di persone molto competenti ritengo sia una fortuna perché hai la certezza che non tutte le idee siano uguali ma almeno incontri idee chiare: così ti puoi confrontare, eventualmente parlarne o scriverne, forse cambiare qualcosa.

Le mie idee le ho esposte a suo tempo, ma pare che tutte le idee siano fluide, soggette a mutamenti e integrazioni. Perché questo avvenga, è della massima importanza avere interlocutori validi, pur di ascoltare, a patto di essere in grado di “fluidificare il pensiero” in modo che esso si presti a cambiamenti significativi.

Dunque diverse menti dotate e colte si occupano di versi e di scrittura letteraria, è interessante seguire e intendere, magari farsi capire, se essi ascoltano. Sì, leggo di “critica militante” o di “poesia schierata” (in un senso che ovviamente può molto variare). Riduco a due questioni tutta la discussione.

Una prima ed essenziale questione è quella del linguaggio della scrittura in versi: si insiste, vedo, sulla necessità della ricerca di un nuovo linguaggio, o del migliore uso di questo, perché la nostra tradizione, sebbene importante, ci condizionerebbe in negativo: qui sono d’accordo con chi dice di studiare la tradizione ma anche di dimenticarla, perché i presupposti una volta acquisiti fungono nella mente in modo nuovo (cioè potrebbero) quando può sembrare che non ci siano più. Qualcuno, con grande impeto, crede di fare a pezzi una parte della tradizione e ne indica un’altra: si fa come si vuole e si può, anche sulla scia dei movimenti letterari del Novecento.

È di dominio comune: credo sia importante guardarsi intorno, leggere e studiare. Anche i padri erano consapevoli del contesto letterario. Per dire dell’Italia, lo stesso Francesco d’Assisi non fu proprio naïf, e gli esponenti della scuola siciliana vennero da una o più tradizioni. D’altro canto l’importanza dei versi non proviene dalla costruzione d’una poetica a tavolino, ivi compresi i requisiti di forma, come se prima si pensasse il come e poi si scrivesse così e così: allora solo gli specialisti di campo affine potrebbero scrivere versi – no, la scrittura è aperta, in certa misura spontanea, a certe condizioni. No, la dimensione di una scrittura sta inscritta, per cause imponderabili, anche nella personalità dell’autore. Se qualcuno nota che certi versi che ci restano ripetono l’eco d’altri, eccepirei che sì, salvo che nessuno li ha scritti come l’autore fa: altri prima di me ha detto le cose che dico, ma nessuno lo ha fatto allo stesso modo, scrisse il filosofo. Fattori singolari determinano l’esserci d’una poesia o di una scuola importanti. Il determinismo qui è un punto di vista adottato a posteriori, anche da qualche sociologia della letteratura.

Una seconda e dibattuta questione è quella della forma. Certo che la poesia si distingue – poniamo, dalla letteratura o da qualunque altro tipo di prosa – per la forma, diciamo un po’ banalmente per via della presenza del verso e del concentrato di requisiti che porta il verso. Sì, chi vuole scrivere versi non può fare a meno di considerare questo aspetto, qualche volta anzi ne viene “aiutato”. Se non se ne tiene conto si perde una differenza, l’esser poesia della poesia. Ma a volte può venirne ostacolato, dipende.

Come nel Trattato di Saussure, che credo riassuma in qualche modo e innovi le ricerche di millenni sul linguaggio, nel “simbolo” linguistico stanno insieme il significante (parola, immagine acustica) e il significato (il concetto, il senso, l’intenzione). Difficile distinguerli nella realtà, e così in poesia: ma ci si può provare dicendo che concetto o significato è anche l’immagine, quella per cui possiamo parlare di “immaginario” e “immaginazione” e non solo l’immagine acustica della parola come suona e come viene detta. Ieri Vico, oggi alcuni cognitivisti hanno sostenuto in questo senso che fondamento della lingua è l’immagine. Ora qualcuno può affermare, sulla base di ricerche raffinate ed erudite, che in poesia il vero significato risiede nella sua forma, vi coincide. È ben sottile argomentare su questo: si può sostenerlo ma dipende dalla poetica, dalla propria concezione teorica della poesia, quando se ne abbia una. Se parliamo di scultura, è come dire che il vero senso dell’opera di Michelangelo risiede nella perizia tecnica dell’autore nel trattare la materia. È così: ma non anche nell’intenzione, domando? Mi si risponderà, credo: certo, ma non puoi distinguere, ma l’intenzione risulta appieno solo quando si è in possesso dei requisiti formali e si risolve in quelli. Allora provocherei: voi smontate una poesia, elencate il tipo di versi di cui è composta in base al numero delle sillabe, individuate le figure retoriche presenti in ogni linea e in tal modo valutate la qualità di quello che risulta. È così? Se è questo, sembra seriamente possibile affermarlo? Dite che questo è la poesia, perché è arte, e così qualunque arte. Opino che l’autore può aver considerato questo aspetto, anzi forse dovrebbe, ma se si tratta solo di questo, tale tipo di approccio non mi procura la minima convinzione, è come pensare che l’automobile è una somma di ognuno dei suoi pezzetti costitutivi o, molto meglio, che la bellezza di una donna (l’unica al mondo, per inciso, che propriamente definirei bellezza) sia una somma dei dettagli del suo corpo. Proprio no: di che parliamo?

Non ricordiamo la teoria della forma, per cui il tutto è più e altro che la somma delle parti?

La eccezionalità di tanta poesia risiede non solo nella singolarità della lingua, ma nell’insieme pressochè inseparabile della forma e del contenuto (cioè: significato, immagine) e quest’ultimo lo si può pensare come determinabile nell’ambito della sola forma e può non esserlo, lo si può pensare distinto, p. e. in base a una poetica realistica. Ma anche per una poetica di questo tipo si potrebbero dare obiezioni, lo so.

Non so dire se si tratti solo di una questione terminologica che si compone facilmente accordandosi sull’uso delle parole. Perché, in arte, parliamo di immagine e di immaginazione, come fece Giambattista Vico? Pensare che il contenuto della poesia si risolva nella sua forma non è che una posizione tra le tante, argomentabili e non espresse in modo gratuito, beninteso. Forse non è solo una questione terminologica, ma è sostanziale: per qualcuno la forma in arte è tutto, per altri forma da sola non fa sostanza, se si vuol usare questa maniera di dire.

Meglio dividere il capello in quattro che spaccare le questioni con l’accetta, quando non se ne viene a capo.

Per dare un’idea della difficoltà del problema, si pensi alla traduzione in poesia. Qui domando: come si fa a tradurre questa precisa forma-lingua in altra forma-lingua? Impossibile: bisognerà allora che questa forma consistente nella lingua di origine venga a sua volta “tra-dotta” in altra forma, quella in lingua di destinazione. Come ciò possa avvenire è un piccolo prodigio, operato anche dal traduttore, meglio se collabora con l’autore, ma non vuol dire tanto che una forma, quale che sia, decida per la valenza planetaria d’una poesia come quella di Paz o di Dante, di Heaney o di Tranströmer. E anche in questo caso mi si potrà obiettare: vedi? Per l’arte tradotta da forma di origine occorre sempre e comunque trovare una forma valida nella lingua di destinazione. Questo è vero. Ma in qual modo, dico io, quella poesia mantiene la propria individualità anche in altra lingua? Importa piuttosto che vi sia un suggestivo e potente senso (contenuto, immagine, intenzione) tras-messo in quel modo, che non dipende così strettamente (cioè in automatico) dalla forma, come si vorrebbe, ma che, salvo piccole o grandi variazioni, è suscettibile (intendo “potenza”) di venir inteso da ogni lettore sul pianeta. E questa non è diatriba sulla forma: è, s’intende, solo “una” posizione, diversa. Altrimenti, potete anche mettere insieme una poesia nonsense, e lo si fa, e dire che la forma è il suo valore: potete anche affermare che è poesia. Oppure assemblare contenuti in verso che chiamate libero, ma sarà poesia? Io non so o dico che sono solo punti di vista e che poesia è stata ed è tantissime cose diverse, ma non puoi dire che è poesia se non “parla”. Ma a chi? Cosa vorrebbe dire? Anche questo è un criterio molto discutibile… guardiamo in giro…

Piuttosto mi rendo ben conto che forma e contenuto in arte sono così unite da risultare separabili con molta difficoltà in discussione.

È un momento forse decisivo, nella storia dell’umanità, ma rincuora il fatto che tanti si dedichino alla scrittura, il che farebbe pensare che ci sono molti, in giro, dotati di buon senso e di “intelletto” e che portino in sé il valore del dialogo. Se no, prevale sempre la nostra follia. La poesia, la buona letteratura, non sono inviti allo scatenamento delle passioni peggiori, ma alla sana operosità e alla buona volontà. Non provo il minimo fastidio quando ho la fortuna di un pur breve scambio con un interlocutore degno di questo nome. Invece va detto che sì, qualche piccolo problema me lo procura l’avvertire la rigidità, l’intendere che qualcuno non è disposto a modificare alcunché in quel che crede o pensa. Siamo qui, ne possiamo parlare.

Letto 619 volte Ultima modifica il Lunedì, 25 Agosto 2025 19:11